Hikikomori: perché i nostri figli si isolano dal mondo?

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“Mio figlio sta sempre chiuso in camera”

“Mio figlio sta sempre chiuso in camera. Esce di rado, non ha amici, non socializza. Sono preoccupato”

Quando un ragazzo si chiude in sé stesso e trascorre gran parte della sua giornata nella propria stanza, è normale che un padre o una madre si allarmi.

È una situazione nuova, imprevista.

Prima di correre ai ripari, però, bisogna operare una distinzione tra il normale desiderio di privacy di un adolescente e un fenomeno sempre più diffuso anche in Italia: quello degli Hikikomori.

Oltre la porta della cameretta

Quando i nostri figli crescono, stentiamo talvolta a riconoscerli.

Il bambino o la bambina che cercava la mamma, che ci riempiva di domande e voleva sempre giocare con noi o raccontarci quello che aveva scoperto di nuovo durante la sua giornata, non c’è più.

Al suo posto c’è un ragazzo o una ragazza con esigenze nuove, che cerca di ritagliarsi i suoi spazi di indipendenza.

L’adolescenza, infatti, è il periodo di transizione, in cui questi giovani si preparano a diventare degli adulti, anche se ancora non lo sono diventati. La loro è un’identità in formazione, che passa necessariamente attraverso un momento di crisi e di ribellione.

Alla ricerca della propria autonomia, è normale che gli adolescenti comincino a manifestare insofferenza verso le regole e verso le figure che rappresentano l’autorità, a partire da quelle che hanno in casa cioè i genitori.

Durante questa fase delicata, la loro cameretta è molto più che il luogo in cui dormire o fare i compiti. Si trasforma in un rifugio, vietato agli adulti. Quella porta chiusa è una precisa richiesta di maggior riservatezza.

Stanno costruendo un proprio spazio privato e riservato.

Per i genitori, madre e padri, tutto questo crea un senso di inquietudine e frustrazione. Vedersi tagliati fuori, sentire che si sta alzando un muro tra noi e nostro figlio può essere sconcertante e doloroso.

Questo, però, non deve indurci a reagire in modo impulsivo, con esplosioni di rabbia, sgridate e divieti tassativi. Anche se assumono un atteggiamento di sfida nei nostri confronti, anche se si allontanano, i nostri figli hanno bisogno di noi.

Per una crescita sana, servono comprensione e rispetto, oltre che limiti e regole.

È necessario trovare un equilibrio tra il loro bisogno di privacy e la necessità della condivisione e del dialogo.

Talvolta, però, la tendenza di un figlio a passare ore e ore da solo chiuso in cameretta deve metterci in allarme. In alcuni casi, infatti, questo atteggiamento di chiusura nasconde un disagio profondo.

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Giovani barricati nelle loro stanze: chi sono gli hikikomori

“Hikikomori” significa letteralmente “Stare in disparte”.

Questa parola giapponese, ormai entrata nel lessico comune, definisce una vera e propria sindrome, di cui sono vittima giovani e giovanissimi che decidono volontariamente di ritirarsi dalla vita sociale, chiudendosi nella propria stanza, senza avere contatti con l’esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori.

Trascorrono ore e ore online, utilizzando in modo compulsivo i social network, giocando ai videogame, in una fuga dal mondo reale per trovare una nuova dimensione in quello virtuale.

Quanti sono gli hikikomori?

In Giappone, paese in cui il fenomeno è stato per la prima volta riconosciuto, le stime ufficiali parlano di circa un milione di casi di giovani hikikomori. Ma ormai da tempo questa forma di disagio è stata riscontrata in tutti i paesi economicamente sviluppati.

In Italia, secondo studi recenti, si parlerebbe di circa 54.000 ragazzi coinvolti.

La fascia d’età più a rischio è quella degli adolescenti tra i 15 e i 17 anni. Ma anche se tutto sembra accadere all’improvviso, c’è un periodo di incubazione del disagio che, di solito, risale al periodo delle scuole medie.

Sono soprattutto i maschi a scegliere di isolarsi, barricandosi nella propria cameretta, tra sessioni notturni di videogiochi, cibo spazzatura e zero relazioni se non quelle mediate dallo schermo di un pc o di uno smartphone.

Ma le ragazze non sono immuni dalla sindrome Hikikomori.

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Come riconoscere un hikikomori: i sintomi

Un ragazzo o un giovane adulto viene considerato un hikikomori quando rifiuta la vita sociale, scolastica e lavorativa, autoescludendosi dal mondo esterno per un periodo prolungato di tempo.

I principali sintomi o meglio i comportamenti che possono segnalare che c’è qualcosa che non va in tuo figlio sono:

  • uno stile di vita da recluso, incentrato su attività da svolgersi esclusivamente all’interno delle mura domestiche o – peggio – in una singola stanza della casa
  • interesse nullo nei confronti del mondo esterno e delle attività che implicano il dover uscire come andare a scuola, recarsi a lavoro, trascorrere una serata con gli amici etc.
  • isolamento continuativo che dura da almeno 6 mesi o più

L’immagine classica dell’hikikomori è quella del ragazzino chiuso nella sua stanza, con le tapparelle abbassate tanto da non far filtrare quasi la luce, il computer sempre acceso, unica finestra da cui affacciarsi sulla realtà.

Hikikomori: le cause della scelta dell’isolamento

Un genitore che si trova ad affrontare questo tipo di situazione con il proprio figlio, probabilmente si domanda:

  • Perché ragazzi così giovani scelgono di isolarsi completamente?
  • Perché rinunciano alla vita sociale, a stare a contatto con gli altri, a intraprendere un qualsiasi rapporto?
  • In sostanza, quali sono le cause del fenomeno degli hikikomori?

Le motivazioni che possono spingere un adolescente a una scelta tanto estrema sono varie, radicate in una sofferenza profonda legata a difficoltà relazionali e pressioni sociali, avvertite come insopportabili.

Molti ragazzi che approdano alle scuole medie vivono un senso di inadeguatezza rispetto ai propri compagni di classe. Provano imbarazzo e vergogna, sentono di non essere abbastanza, hanno paura di non riuscire a conformarsi, a soddisfare le attese dell’altro.

In sostanza, temono di non piacere e di non essere accettati, spesso a causa di un problema di bassa autostima e, di conseguenza, evitano il confronto.

Chiudersi nella propria stanza, in quel piccolo mondo a parte, è il loro modo per nascondersi agli occhi altrui e quindi non esporsi al giudizio impietoso degli altri.

Il ritiro volontario è una forma di difesa contro il mondo che chiede troppo, che spinge alla competizione, al dover arrivare da qualche parte, a dover essere sempre i migliori in qualcosa.

Capita anche di scoprire che questi ragazzi, in passato, hanno vissuto esperienze di bullismo e prevaricazione da parte dei propri coetanei, soprattutto nel contesto scolastico. Altri ragazzi li hanno presi di mira, accanendosi con prese in giro, scherzi pesanti e violenze fisiche e psicologiche, approfittando della loro sensibilità e fragilità.

Il bullismo è un grave fattore di rischio, che può determinare lo sviluppo di una forte ansia sociale, che impedisce ai ragazzi di integrarsi nel gruppo e sentirsi a proprio agio.

Ma non è soltanto questo a rendere i giovanissimi inclini all’isolamento tipico degli hikikomori.

L’estrema introversione e l’incapacità di relazionarsi con gli altri possono derivare anche da una situazione familiare disfunzionale, in cui mancano comunicazione ed empatia. Genitori ansiosi e iperprotettivi possono proiettare in modo involontario la propria ansia sul figlio, che avverte il peso delle aspettative di mamma e papà.

Anche esperienze traumatiche di vergogna e sconfitta – come per esempio non essere riusciti a superare un esame importante – concorrono alla nascita di quell’inibizione che trasforma i nostri figli in hikikomori.

Hikikomori: perché i nostri figli si isolano dal mondo?
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Hikikomori: conseguenze del confinamento protratto

Se hai un figlio adolescente, è molto probabile che parlando con insegnanti e confrontandoti con altri genitori, tu abbia già sentito parlare degli hikikomori.

Se ti senti disorientato, sappi che è normale, specie se hai notato comportamenti anomali nel tuo ragazzo o nella tua ragazza. Probabilmente, ti trovi in difficoltà, non sai bene che atteggiamento assumere e come interagire con lui o lei per superare le barriere che vi dividono.

Forse, come altri, ti senti frustrato o impotente. Oppure, ti incolpi di quel che sta accadendo. Magari pensi di aver commesso qualche sbaglio, di non essere stato in grado di educarlo nel modo giusto.

L’assenza di una soluzione chiara e immediata potrebbe accentuare la tua ansia.

Forse sei preoccupato per le conseguenze di un simile isolamento. Se ti sei informato, infatti, saprai che la condizione di emarginazione sociale vissuta dagli hikikomori incide negativamente sulla salute mentale del ragazzo, che può sviluppare diversi disturbi:

  • inversione del ritmo sonno-veglia e disturbi del sonno
  • depressione
  • dipendenze come quella da social network, dai videogiochi o altre forme di intrattenimento solitario

Inoltre, potresti aver paura del futuro di tuo figlio. Cosa potrà mai fare un ragazzo che sta sempre solo, non ha sviluppato abilità sociali o lavorative?

Emergenza hikikomori: cosa fare per aiutare il proprio figlio?

In una situazione di questo tipo, strategie coercitive e divieti si rivelano poco utili, se non controproducenti.

Impedire l’utilizzo del computer o dello smartphone non è una scelta efficace.

Internet e i social non sono le cause del suo problema. Rappresentano piuttosto gli strumenti che il ragazzo ha trovato per mantenere un flebile legame con il mondo esterno, per sopravvivere.

Non permettergli di accedere a questi strumenti non lo farà guarire.

Per un genitore, è importante affrontare il problema con apertura e comprensione, adottando un approccio delicato, che miri a coinvolgere il ragazzo o la ragazza in modo graduale, a piccoli passi.

Far tornare il proprio figlio alla vita è possibile.

Ma occorrono tempo e pazienza, oltre che il supporto di un professionista esperto dell’età dello sviluppo, che possa sostenerti in questo percorso attraverso sedute di sostegno alla genitorialità  e psicoterapia o supporto psicologico per tuo figlio.

Presso il nostro studio di psicologia e psicoterapia a Roma Prati, sono presenti numerosi professionisti qualificati, psicologi e psicoterapeuti esperti nel trattamento del disagio giovanile.

Contattaci al 327 297 1456. Un terapeuta del centro prenderà in carico la tua richiesta. A seguito di un colloquio telefonico preliminare, in cui riceverai tutte le informazioni necessarie, potrai fissare un appuntamento per valutare di intraprendere un percorso di psicoterapia a Roma Prati per attacchi di panico.

Il nostro centro si trova in Circonvallazione Trionfale 145, 00195 Roma, zona Prati.

Il Centro di psicologia e psicoterapia Il Filo di Arianna può essere raggiunto comodamente anche con i mezzi pubblici, vista la vicinanza con due fermate della metropolitana linea A: Cipro e Lepanto.

Bus:
n° 70, 23, 291, 496, 31, 33, 495 (dalle fermate metro Cipro, Flaminio e Valle Aurelia).

Nel caso in cui ce ne fosse bisogno, si potrà valutare anche di seguire una psicoterapia a distanza, avvalendosi di colloqui online attraverso videochat Zoom.

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