Autostima e immagine di Sé: nell’infanzia, le radici della nostra identità
Il modo in cui pensiamo e percepiamo a noi stessi, l’immagine che abbiamo di noi si forma durante la nostra infanzia, a stretto contatto con i nostri genitori o con coloro che, in alternativa, si prendono cura di noi.
Il pediatra e psicanalista Donald Winnicot, rimasto famoso per aver introdotto il concetto di madre sufficientemente buona, sosteneva che il bambino forma l’immagine di sé specchiandosi negli occhi dei propri genitori.
Quello del rispecchiamento è un meccanismo fondamentale.
Se i genitori si dimostrano capaci di sintonizzarsi con il proprio bambino, disponibili a proteggerlo e a soddisfarne i bisogni in termini non soltanto materiali, ma anche emotivi, accudendolo con affetto e attenzione, riconoscendolo nella sua individualità, il piccolo ha la possibilità di costruire un’immagine di sé sana, positiva.
Egli sente i propri genitori disponibili e presenti e percepisce sé stesso come degno di cure e di amore. Di conseguenza, sviluppa fiducia nei confronti degli altri, si forma delle aspettative positive rispetto al mondo circostante e alle relazioni.
Al contrario, se i genitori non riescono a rispondere adeguatamente ai bisogni del figlio oppure lo fanno in modo discontinuo, esponendolo all’esperienza dell’abbandono o del maltrattamento, il bambino si sentirà rifiutato e non meritevole di amore.
È questa dinamica a produrre profonde ferite che minano lo sviluppo di una sana autostima, intesa come la capacità di apprezzare sé stessi, di darsi valore, di valutare in modo positivo le proprie qualità e caratteristiche.
Bassi livelli di autostima, purtroppo, si legano a tante problematiche di tipo psicologico:
- ansia
- depressione
- difficoltà relazionali nei diversi ambiti, da quello affettivo a quello lavorativo

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La maschera del Falso Sé e la bassa autostima
Cosa accade se lo specchio in cui cerchiamo il nostro volto ci rimanda un riflesso distorto di noi stessi, un’immagine svalutata?
Accade che indossiamo una maschera e nascondiamo noi stessi dietro un Falso Sè, un’identità “posticcia”, costruita per compiacere gli altri, adeguarci alle loro richieste e desideri, per dargli ciò che vogliono e ricevere, in cambio, amore e stima.
Il Falso sé spesso si accompagna a un senso di grandiosità, che non va confuso con la vera e sana autostima e che serve, in un certo senso, a proteggerci dal baratro della depressione.
Alla base troviamo un sentimento di rivalsa, un desiderio di primeggiare, di dimostrare di essere migliore degli altri che sfocia persino in fantasie di tipo sadico.
L’atteggiamento tipico è quello dell’iper-efficientista, dell’uomo (o della donna) che cercano a tutti i costi di dimostrare qualcosa a sé stessi e agli altri, lanciati all’inseguimento di un’ideale di sé irraggiungibile. Qualunque cosa facciano, non è mai abbastanza per loro.
Continuano a darsi obiettivi, chiedendo a sé stessi performance sempre più elevate. Alzano l’asticella all’infinito, senza accontentarsi mai, senza sentirsi mai realmente soddisfatti di quello che hanno conseguito.
Ogni risultato è soltanto una tappa verso un traguardo che si sposta sempre più in là, oltre l’orizzonte.
A un primo sguardo, queste possono sembrare persone di successo, estremamente ambiziose e sicure di sé. In verità, però, sono soggetti fragili e insicuri, dotati di un’autostima traballante che cercano in ogni modo di rafforzare, fallendo ogni volta.
I feedback positivi che vengono dall’esterno (elogi, complimenti etc.) arrivano al loro Falso Sé, alla maschera che si sono calati sul volto per nascondersi e proteggersi.
Di conseguenza, non potranno mai elevare la loro autostima.
Ci troviamo perciò di fronte a un atteggiamento nevrotico totalmente inconcludente, che non può risolvere un problema tutto interiore, di natura psicologica.

La soluzione per ritrovare l’autostima: la psicoterapia
La psicoterapia rappresenta un percorso d’elezione per coloro che vivano un profondo disagio legato a bassa autostima e immagine negativa di sé.
L’intervento terapeutico risulta particolarmente utile per un serie di motivi.
Innanzitutto, nel corso delle sedute, il paziente ha l’opportunità di indagare a fondo la natura e l’origine del problema, sviluppando una maggiore consapevolezza di sé. Questa presa di coscienza è fondamentale per promuovere il cambiamento che consente di uscire dall’atteggiamento nevrotico e ritrovare un maggiore benessere.
In secondo luogo, la terapia offre uno spazio in cui si può ripensare la propria esperienza infantile e mettere in discussione le proprie figure genitoriali. Questo non per trovare dei colpevoli al proprio disagio, ma per consentire alle emozioni bloccate e represse di venire alla luce, in modo da poterle accogliere ed elaborare.
In questa sede, si può finalmente ricostruire un’immagine di sé adeguata attraverso un’esperienza emotiva sostitutiva innescata dal transfert. Esperienza ancora più potente se effettuata all’interno di una terapia di gruppo.
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