Si può delineare il profilo di personalità di una persona, chiedendole cosa vede in delle macchie di inchiostro? La risposta è sì, se parliamo del test di Rorschach.
Quello che abbiamo di fronte è uno strumento di indagine utilizzato nell’ambito delle valutazioni psicodiagnostiche affascinante e dalle molte sfaccettature, noto al grande pubblico grazie al cinema, ai libri, ai videogiochi che prendono spunto o fanno riferimento alle famose tavole ideate da un giovane psichiatra svizzero, Hermann Rorschach.
Cos’è il test di Rorschach?
Il test di Rorschach è quello che psicologi e psicoterapeuti chiamano “test proiettivo” o “test soggettivo”. In sostanza, si tratta di uno strumento diagnostico che si basa su stimoli visivi ambigui (le macchie d’inchiostro), incompleti e non strutturati.
Queste tavole vengono presentate al paziente, che deve descrivere ciò che vede a parole sue, dicendo ciò che ne pensa, quali impressioni gli suscita l’immagine che gli viene posta davanti agli occhi.
Non esiste una risposta giusta o sbagliata.
Le macchie d’inchiostro elaborate da Rorschach, infatti, si prestano a diventare contenitori delle proiezioni del singolo individuo. È lui o lei ad attribuirgli uno specifico significato, a vederci qualcosa.
Test come quello di Rorscharch si basano sulla teoria freudiana della proiezione attributiva.
Quando lo stimolo a cui veniamo sottoposti è ambiguo, non definito, quello che ne cogliamo ha più a che fare con noi che con l’oggetto. Siamo noi stessi ad attribuirgli dei contenuti che vengono, in realtà, dal nostro inconscio e che sono, quindi, proiezioni di aspetti nascosti della nostra personalità.
Detto in termini semplici, la proiezione attributiva consiste nello spostare fuori di noi, sull’oggetto, motivazioni, pensieri, sentimenti personali, che riposano nel nostro profondo.

Attendibilità del test di Rorschach
Per come ce lo presentano in film e libri, il test di Rorschach sembra una diavoleria pseudoscientifica.
In verità, si tratta di una metodica molto diffusa, valida e attendibile. Naturalmente, come ogni strumento psicodiagnostico, deve essere utilizzato esclusivamente da professionisti esperti che sappiano come applicarlo e cosa cercare nelle risposte fornite dal paziente.
Lo stesso Rorschach affermava: “Il Test non può essere considerato un mezzo per scavare nell’inconscio (…) ciò non è difficile da comprendere, il Test non induce un libero sgorgare dall’inconscio, ma richiede un adattamento agli stimoli esterni, partecipazione della fonction du rèel”.
Detto in altri termini, il test delle macchie sarebbe in grado di fornire preziose informazioni sulle strategie e i processi cognitivi, affettivi e relazioni della persona a cui viene sottoposto.
Naturalmente, l’interpretazione del clinico deve avvenire secondo una tecnica precisa e standardizzata, che possa ridurre al minimo il rischio che nella valutazione entrino considerazioni troppo soggettive.
Alle origini del test delle macchie d’inchiostro: un gioco di società
Uno degli aspetti più curiosi del test ideato dallo psichiatra Hermann Rorscharch è la sua origine.
Risalendo indietro nel tempo, infatti, scopriamo che gli si ispirò a un gioco di società molto in voga nell’Ottocento: il Blotto, anche noto con il nome di Klecksographie.
Come funzionava il Blotto?
Molto semplice: si facevano cadere o si spruzzavano delle gocce di inchiostro colorato su di un foglio e, prima che si asciugassero, si piegava il pezzo di carta a metà, in modo che il colore si spargesse su entrambe le facciate.
Quando il foglio veniva riaperto, sulla sua superficie si vedeva un’immagine astratta, completamente casuale, alla quale si cercava di attribuire un senso, dando libero sfogo a fantasia e immaginazione.
Uno dei pionieri dell’uso alternativo del Botto fu Justin Kerner, medico e scrittore tedesco, appassionato di occultismo e spiritismo. Egli fu il primo a includere le Klecksographie nei suoi libri di poesia, usandole per illustrare le sue opere.
Le sue erano macchie create in modo accidentale, facendo cadere l’inchiostro sul foglio.
Rorschach e le macchie d’inchiostro: studi sulle dinamiche di personalità
Nonostante la fama del suo metodo, il primo a utilizzare le macchie d’inchiostro in ambito psicologico non è Rorschach.
A precederlo è lo psichiatra francese Alfred Binet nel 1895.
Egli, però, compie esperimenti che servono a misurare la creatività nei bambini, mentre Rorschach crea un vero e proprio sistema diagnostico, volto a individuare dinamiche di personalità e possibili disturbi negli individui.
Le sue ricerche cominciano nel 1911, all’interno degli istituti psichiatrici. Rorschach lavora con i pazienti internati in manicomio, somministrando le macchie soprattutto a soggetti affetti da schizofrenia.
Il suo intento principale è studiarne i disturbi percettivi.
Egli, infatti, si domanda se il diverso modo di percepire e quindi interpretare le immagini possa essere legato a particolari dinamiche di personalità o problematiche psicopatologiche.
Nel corso di dieci lunghi anni, egli sperimenta tante sequenze diverse di immagini su decine e decine di pazienti, finché non arriva a elaborare il test definitivo.
È il 1921 quando, finalmente, Rorschach presenta alla comunità scientifica i risultati ottenuti con il suo lavoro. Con la pubblicazione del suo libro “Psychodiagnostik”, egli propone di standardizzare il metodo diagnostico, mostrando il sistema da lui messo a punto, il test delle macchie d’inchiostro nella forma in cui lo conosciamo ancora oggi.
L’idea di Rorschach era che le risposte del soggetto alle macchie d’inchiostro potessero riflettere il modo in cui percepiamo il mondo, come reagiamo agli stimoli ambigui e quali sono i nostri processi di pensiero. Di conseguenza, l’interpretazione delle risposte del soggetto alle macchie d’inchiostro può offrire un’analisi della sua struttura psicologica e delle sue dinamiche interne.
L’affascinante teoria di Rorscharch, però, passa del tutto inosservata. Nessuno si interessa a quel giovane psichiatra visionario.
Almeno finché, nel 1922, una peritonite mal diagnosticata non se lo porta via a soli 38 anni.
Soltanto dopo la sua morte, il test di Rorschach comincia a calamitare l’attenzione degli esperti, che ne rimangono affascinati e decidono di utilizzarlo in ambito psicodiagnostico. Dopo un iniziale scetticismo, questo strumento comincia a diffondersi sempre di più.

Non solo valutazione psicodiagnostica: Il test di Rorschach come strumento terapeutico
Al di là dell’utilizzo in sede di diagnosi, il test di Rorschach si presta a numerosi altri impieghi da parte dei professionisti della salute e del benessere mentale quali psicologi e psicoterapeuti.
Viste le sue origini da un gioco che stimola la creatività e il pensiero laterale, il test delle macchie d’inchiostro può divenire anche uno straordinario strumento terapeutico, utile a indagare il mondo fantasmatico ed emotivo del paziente all’interno delle sedute di psicoterapia individuale.
Uno degli scopi della psicoterapia è fornire alla persona un luogo sicuro e accogliente, in cui ci si possa sentire a proprio agio nell’esprimere pensieri ed emozioni, senza venire giudicati.
Seguendo questo principio fondamentale, le macchie d’inchiostro possono essere impiegate come uno stimolo che consente alla persona di parlare liberamente delle proprie proiezioni, dando voce a quel che sente, a ciò che certe immagini gli suscitano, mettendo da parte il lato razionale.
Attraverso di esse è possibile lavorare per libere associazioni, aprendo una finestra sull’inconscio del paziente, sulla sua interiorità più profonda e nascosta.
Ciò consente al terapeuta di individuare in modo più rapido elementi conflittuali, per esempio l’area della sessualità, quella delle relazioni oppure quella dell’identità individuale. Ma può anche riuscire a mettere in luce e in maggiore evidenza le risorse del paziente, le sue potenzialità inespresse, i punti di forza che gli permetteranno di uscire dal disagio e, soprattutto, di vivere un’esistenza più piena e soddisfacente, più autentica.
Sfruttando il test di Rorschach in questa maniera, è possibile raccogliere un nutrito bagaglio di informazioni, che andrà ad aggiungersi e integrarsi con la storia del paziente e gli altri elementi rilevanti che emergono man mano che il percorso di psicoterapia procede e si approfondisce e stratifica.
Perché non dovresti mai vedere le macchie d’inchiostro prima di fare il test
Come abbiamo detto all’inizio di questo articolo, il test di Rorschach è ormai entrato nell’immaginario comune grazie a libri, film e citazioni di ogni tipo.
Pensiamo, per esempio, a “Blade runner”, lungometraggio del 1982 diretto da Ridley Scott, liberamente ispirato al romanzo di fantascienza “Ma gli androidi sognano pecore elettriche” di Philip K. Dick, in cui il test delle macchie d’inchiostro viene somministrato alle persone per capire se si tratta di esseri umani o di replicanti, androidi con fattezze umane.
Online esistono persino degli store che vendono magliette a tema, con le macchie come decorazione.
Tutti più o meno, quando vediamo quelle immagini, sappiamo all’incirca di cosa si sta parlando. Le riconosciamo.
Tuttavia, il test delle macchie di Rorschach pone un serio problema di responsabilità ai professionisti che se ne avvalgono, psicologi, psicoterapeuti e psichiatri formati nel suo utilizzo. Le norme deontologiche, infatti, prescrivono il divieto assoluto di divulgare informazioni precise sulle tavole, sul loro numero e sulle modalità di somministrazione del test.
Non è possibile, tantomeno, mostrare le tavole.
Queste limitazioni hanno lo scopo di tutelare l’utenza: vedere le tavole al di fuori di un processo diagnostico significa invalidare completamente il test, che non può più essere somministrato al paziente.
Il funzionamento del test di Rorschach, infatti, si basa sulle risposte istintive e immediate del paziente esposto alla visione delle tavole. Una precedente conoscenza di forme, colori, sequenze o altri elementi delle tavole può innescare dei processi mnemonici, con un impatto significativo sulla diagnosi, che viene compromessa.
Le immagini che trovi all’interno di questo articolo sono opere liberamente ispirate al test di Rorschach, prodotte da noi secondo le modalità che ti abbiamo descritto all’inizio, lasciando fluire liberamente creatività e casualità.