Terapia breve strategica: cos’è e come funziona

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Spesso si dice che la terapia è un lavoro di scavo nel profondo dell’individuo, un percorso a ritroso nel tempo per cercare le radici della sofferenza, le cause del male che si prova.

Questo è vero se parliamo dell’approccio psicodinamico.

Ma quando entriamo nell’ambito della terapia breve strategica, il discorso cambia molto.

La terapia breve strategica (TBS), infatti, si caratterizza per l’attenzione rivolta al presente, non al passato

Seguendo questo orientamento, si lavora nel qui e ora per trattare specifici disturbi attraverso l’applicazione di strategie, tecniche e protocolli specifici in modo da eliminare i comportamenti disfunzionali e promuovere un duraturo cambiamento dell’individuo.

Come evidenziato anche dal nome, stiamo parlando di un tipo di intervento breve e mirato, la cui peculiarità principale è risolvere la problematica portata dal paziente in un numero piuttosto ridotto di sedute. 

Le origini della terapia breve strategica

La terapia breve strategica ha origine a partire dagli studi e dal lavoro clinico di Milton Erikson, terapeuta e ipnotista.

Erikson riteneva che il modo migliore per aiutare il paziente a stare bene non fosse tanto indagare nel suo passato, quanto concentrarsi sul tempo presente. Non bisogna focalizzarsi su quello che è successo là e allora, in un tempo ormai trascorso, a cui possiamo tornare soltanto con la memoria, ma stare nel qui e ora.

Questo perché, anche se i disturbi e i sintomi con cui si manifestano derivano da quanto accaduto nel passato (traumi, problematiche familiari, mancanze etc.) conoscere la loro genesi non ci avvicina di un solo passo alla loro risoluzione.

Quel che è già successo non può essere cancellato né cambiato.

Di conseguenza, occorre focalizzarsi non sul perché c’è un problema, ma su come questo problema funziona. A questo punto entra in gioco il problem solving strategico che consente di trovare soluzioni semplici a problemi complessi.

La terapia breve strategica si sviluppa a partire da queste osservazioni e viene poi integrata dal contributo dato dalla teoria della comunicazione elaborata da Gregory Bateson, illustre antropologo, sociologo e psicologo britannico, membro del Mental Research Institute di Palo Alto in California (meglio noto come Scuola di Palo Alto).

In Italia, il principale punto di riferimento per la teoria breve strategica è Giorgio Nardone, fondatore del Centro di terapia strategica di Arezzo nonché allievo di Paul Watzlawick, di cui è diretto erede.

Proprio Giorgio Nardone ha elaborato e formalizzato un modello di intervento clinico e specifici protocolli per il trattamento dei disturbi alimentari e dei disturbi ossessivo-compulsivi.

Terapia breve strategica: come funziona?

Alla base dell’approccio breve strategico c’è un principio fondamentale:

l’intervento deve sempre essere adattato alla persona che ci si trova di fronte, che si tratti di un paziente singolo, di una coppia, di una famiglia. Come affermava la stesso Erikson, infatti, ogni individuo è unico, ha caratteristiche sue proprie, irripetibili. Di conseguenza la terapia non può consistere nella mera applicazione di uno schema preconfezionato. 

L’intervento deve essere cucito addosso alla persona, su misura per il paziente.

In buona sostanza, ciò significa che il terapeuta che segue un approccio breve strategico non parte da una teoria a priori buona per tutti, ma lavora sulla base del problema da risolvere e dell’obiettivo da raggiungere.

Nel corso del primo colloquio, il terapeuta strategico indaga le cosiddette tentate soluzioni. Si tratta di tutti quei comportamenti, pensieri, azioni, emozioni che il soggetto mette in atto in modo praticamente automatico quando si trova di fronte al problema che lo affligge.

Le chiamiamo tentate soluzioni proprio perché sono dei tentativi di superare la difficoltà che, però, ogni volta si rivelano del tutto fallimentari, inconcludenti. Nonostante questo, però, continuiamo a metterle in pratica perché ci convinciamo che, impegnandoci di più, alla fine riusciremo nel nostro intento.

Forse, in passato, quelle strategie sono servite a qualcosa. Oppure è possibile che a spingerci a ripeterle all’infinito sia il timore de cambiamento.

Anziché consentirci di risolvere il disagio, però, le tentate soluzioni lo alimentano e sostengono, aggravando la situazione. Invece di aiutarci, cronicizzano il problema.

Pensiamo a chi soffre a causa di una fobia.

Solitamente, il fobico mette in atto l’evitamento cioè cerca a tutti i costi di evitare di trovarsi di fronte l’oggetto, l’animale o la situazione che lo atterrisce. A prima vista, questa potrebbe sembrare una strategia valida. Tuttavia, ogni qual volta non si affronta un problema, questo si ingigantisce nella nostra testa. Sfuggendolo, gli diamo più potere su di noi, più forza. Di fatto, diventiamo meno sicuri e ci sentiamo ancor meno in grado di fronteggiare ciò che ci spaventa.

Spesso, colui che mette in atto delle tentate soluzioni, riconosce la loro inefficacia. Si rende perfettamente conto che ripetere una certa azione all’infinito, come in un loop perpetuo, non lo porterà da nessuna parte. 

Nonostante questo, però, non riesce a rompere il circolo vizioso in cui è intrappolato.

Questa situazione è terribilmente frustrante tanto che spesso si perde la fiducia e la speranza nella possibilità di un cambiamento. Si rimane rigidi, come bloccati, convinti di non poter fare assolutamente nulla per stare meglio.

Una volta individuate le tentate soluzioni, si procede nella ricerca di alternative. 

Potremmo dire che l’intervento breve strategico aiuta il paziente a distogliere lo sguardo da un punto fisso per volgerlo verso l’orizzonte, cambiando punto di vista, esplorando nuovi modi di vedere le cose.

Questo consente di trovare soluzioni nuove, mai sperimentate prima: soluzioni alternative efficaci.

In questo modo, il paziente acquisisce la capacità di trovare nuovi modi di agire e pensare, abitudini funzionali che correggono e sostituiscono i rigidi schemi adottati fino a quel momento.

La terapia breve strategica prevede anche delle esperienze emozionali correttive cioè esperienze concrete, reali che possano dimostrare alla persona di poter affrontare ciò che teme di più.

Lungo questo breve percorso, il terapeuta si pone al fianco del paziente come “consigliere esperto”, che dà delle direttive, dei consigli e degli esercizi da eseguire. Sono strategie e stratagemmi utili a scardinare le tentate soluzioni. Tutto questo, però, ha lo scopo di fargli acquisire gli strumenti necessari a raggiungere una piena autonomia.

La terapia breve strategica risulta efficace per una vasta serie di disturbi:

Terapia breve strategica: quanto dura?

Come detto in precedenza, la terapia breve strategica si caratterizza per essere un intervento di durata limitata nel tempo. I progressi compiuti dal paziente nel corso della terapia vengono costantemente misurati. Non ci si limita a valutare la situazione iniziale e quella finale. Piuttosto, si cerca di evidenziare di volta in volta i miglioramenti conseguiti poiché sono proprio questi passi avanti a guidare il percorso nel suo sviluppo.

Come per altri approcci, non è possibile stabilire a priori, fin dall’inizio, quale sarà la durata dell’intervento. Questo dipende molto dalla condizione del paziente e dalla gravità dei sintomi. Di solito, la metodologia applicata consente di ottenere dei risultati fin dalle prime sedute.

Quelle successive servono a consolidare il nuovo equilibrio personale raggiunto dal paziente.

Solitamente, la durata di una terapia strategica non va oltre le 20 sedute, ma esistono casi in cui l’obiettivo prefissato è stato raggiunto in appena 7 sedute.

Come per altri orientamenti e approcci, la durata effettiva dipende da una serie di variabili, prima tra tutte la gravità del disturbo del paziente.

Per quel che riguarda la frequenza, invece, nelle prime fasi la terapia breve strategica prevede di fissare delle sedute ogni 15 giorni, salvo rare eccezioni. In alcuni casi, infatti, si sceglie di stabilire un incontro a settimana tra paziente e terapeuta. Man mano che si procede con il percorso e il paziente progredisce, ottenendo i primi sostanziali risultati, l’intervallo tra le sedute si dilata.

Solitamente, il percorso basato su un approccio breve strategico si conclude con tre incontri di controllo o follow up, che si svolgono a distanza di 3 mesi, di 6 mesi e di un anno dal termine della terapia vera e propria.

Terapia breve strategica Roma Prati

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