Il teatro della spontaneità e le origini dello psicodramma
Lo psicodramma nasce dalla geniale intuizione dello psichiatra Jacob Levi Moreno, che negli anni Venti del Novecento, comincia a utilizzare la messa in scena teatrale come strumento terapeutico.
Tutto comincia a Vienna, dove Moreno fonda il cosiddetto Teatro della Spontaneità.
Sotto la sua regia, un gruppo di attori professionisti mette in scena storie e temi proposti dal pubblico sul momento, improvvisando. Non c’è alcun copione e non ci sono prove: come direbbero gli addetti ai lavori, si recita a soggetto.
Quella che viene portata sul palco è la vita con i suoi conflitti.
Rappresentazione dopo rappresentazione, Moreno comprende il valore fortemente terapeutico di questa esperienza, che ha un effetto curativo e catartico su chi la vive.
La drammatizzazione di vissuti, emozioni, pensieri, fantasie e sogni secondo un principio di libertà e spontaneità consente di esplorare in modo profondo conflitti personali e collettivi e consente a ciascuno dei partecipanti di elaborare aspetti della propria personalità.
Così nasce lo psicodramma come vero e proprio modello di intervento terapeutico, con uno statuto, una teoria e delle tecniche ben precise.
Vediamo insieme come si svolge una seduta di terapia di gruppo con l’uso dello psicodramma.
Psicodramma: come funziona
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I vari membri del gruppo sono i membri del nostro cast improvvisato di attori, mentre il terapeuta (psicodrammista) riveste solitamente il ruolo di regista, che dirige la scena da interpretare.
Egli, però, non si limita soltanto a fare da conduttore, guidando i vari partecipanti. Spesso, partecipa attivamente, interpretando anche un ruolo nella rappresentazione.
All’inizio della seduta, i membri del gruppo scelgono chi di loro fornirà il “canovaccio” cioè chi metterà a disposizione il proprio vissuto da drammatizzare e quindi il tema su cui si lavorerà nel corso della seduta.
Può trattarsi di un ricordo ma anche di un sogno o di una fantasia.
Pensiamo, per esempio, a un paziente che voglia rappresentare all’interno dello spazio di terapia un episodio accaduto quando era piccolo, in cui sono coinvolti i suoi genitori.
In una prima fase, sarà lui o lei a vestire i panni del protagonista della rappresentazione, recitando il ruolo di sé stesso da bambino. Lo psicodrammista ha il compito di guidarlo nella messa in scena di quel vissuto, dando istruzioni e scandendo i tempi dell’azione.
Gli altri partecipanti, invece, interpreteranno le diverse figure in scena. In un certo senso, essi incarnano i contenuti significativi, danno corpo e voce agli altri “personaggi”.
In un secondo momento, però, potranno anche assumere il ruolo del protagonista, sostituendosi a lui o lei nelle diverse situazioni rappresentate.
Nel corso della seduta di terapia di gruppo basata sull’uso dello psicodramma, infatti, possono essere utilizzate tecniche differenti, che mettono in risalto diversi punti di vista sulla situazione.
Le tecniche dello psicodramma
La tecnica del doppio
Prendiamo, per esempio, la tecnica del doppio.
Quando si utilizza questa tecnica, uno dei membri del gruppo assume per un momento la funzione di doppio del protagonista (o di un altro dei partecipanti). Lui o lei si mette nei suoi panni, dando voce ai pensieri e alle emozioni che crede stia provando.
Solitamente, il doppio si mette dietro l’altro, posando una mano sulla sua spalla e parlando in prima persona, come fosse davvero lui o lei.
Questa funzione viene attivata in vari momenti dello psicodramma e serve a sollecitare l’attenzione del paziente su quello che sente in quella situazione, consentendogli di mettere a fuoco emozioni e sentimenti che non riesce a esprimere, per i quali non trova le parole.
Il doppio gli dà la possibilità di accedere a una più profonda comprensione di sé e del proprio mondo interiore.
La tecnica dello specchio
Altra tecnica molto utilizzata nello psicodramma è la tecnica dello specchio.
Essa viene messa in campo quando il protagonista è invitato a porsi fuori dalla scena, in posizione di osservatore. Qualcun altro prende il suo posto, interpretando il suo personaggio, comportandosi e parlando come lui, come fosse una specie di alter ego.
È il cosiddetto ego ausiliario.
In questo modo, il paziente ha la possibilità di vedere sé stesso da fuori, prendendo consapevolezza del modo in cui agisce e interagisce con gli altri, degli effetti prodotti, delle dinamiche in cui è intrappolato.
La tecnica dell’inversione di ruolo
Anche l’inversione di ruolo consente al protagonista di sperimentare, assumendo un punto di vista completamente diverso sulla situazione che ha vissuto e che sta riproponendo in chiave drammatica, mettendo in campo immaginazione e fantasia, sfruttando la propria creatività.
Lui o lei, infatti, viene invitato dal terapeuta a vestire i panni di un altro “personaggio” della scena che sta teatralizzando, prendendo il ruolo del proprio interlocutore, dell’altro da sé.
È un esercizio molto particolare, che consente di guardare sé stessi e l’altro da una prospettiva del tutto inedita, con occhi diversi, cogliendo emozioni, pensieri e sfumature, comprendendo le motivazioni alla base delle azioni dell’altro.
La tecnica del soliloquio
In alcuni casi, lo psicodrammista può invitare il paziente protagonista a esprimere pensieri ed emozioni a voce alta, come parlando tra sé e sé, in modo libero e spontaneo, senza fare troppo caso al modo in cui si strutturano le frasi.
È la tecnica del soliloquio, attraverso la quale il pensiero fluisce caotico trasformandosi in una riflessione su di sé a cuore aperto.
La tecnica della sedia vuota
Altra tecnica estremamente potente per il suo valore evocativo è quella della sedia vuota, che può essere utilizzata sia nella terapia di gruppo basata sullo psicodramma che nel setting della terapia individuale o della terapia di coppia.
Come funziona nella pratica?
In sostanza, il paziente viene posto di fronte a una sedia vuota e invitato a immaginare che lì, di fronte a lui o lei, ci sia seduto un interlocutore. Questo interlocutore può essere una persona reale, significativa per la sua vita (pensiamo, per esempio a un genitore), viva o anche morta. Oppure può essere una parte di sé, un aspetto della sua personalità.
A questo punto, il terapeuta gli chiede di improvvisare un dialogo con il suo interlocutore immaginario, esplicitando il suo pensiero e quello dell’altro ad alta voce, come se stessero davvero parlando.
In questo modo, si ha la possibilità di lavorare sulle polarità opposte e sul conflitto, andando verso l’integrazione.
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Mettere in scena di parti di sé e rovesciare la prospettiva
Le varie tecniche che abbiamo brevemente illustrato ci permettono di mettere in luce le grandi potenzialità di questo strumento terapeutico usato nella terapia di gruppo.
All’interno della stanza di terapia, con lo psicodramma, abbiamo la possibilità di mettere in scena le diverse parti di noi stessi, le nostre varie istanze interiori che sono in rapporto dialettico tra di loro.
Di fatto, è come se dessimo forma e sostanza ai dialoghi che ogni giorno avvengono in quella sorta di grande parlamento che è la nostra mente.
Magari, c’è una parte di noi che desidera compiere una determinata azione (fare un viaggio, uscire con una certa persona, lasciare un posto di lavoro per provare a seguire i propri sogni) e un’altra che invece ci frena, opponendosi strenuamente.
È come se nella testa avessimo due o più voci che intessono un acceso dibattito, scontrandosi tra loro.
Tutti noi, infatti, sperimentiamo a livello più o meno conscio delle resistenze che ci derivano dall’educazione che si è stata impartiti fin da bambini, dagli scrupoli morali o magari dalla pressione sociale che avvertiamo e che ci fa provare vergogna…
La stanza di psicoterapia offre un setting rassicurante dove rappresentare questi conflitti interiori che, in questo modo, trovano composizione e pacificazione. La rappresentazione scenica proposta cono psicodramma, infatti, consente di integrare queste diverse parti.
Con la tecnica dello specchio, invece, ci viene data la possibilità di uscire fuori da noi stessi, di abbandonare il nostro personale punto di vista interno per vederci vivere, parlare e agire dall’esterno, come un estraneo.
È uno straordinario spostamento di ottica che consente di rovesciare completamente la prospettiva abituale su noi stessi e di cogliere aspetti del nostro comportamento che non siamo in grado di vedere quando siamo calati nella vita di tutti i giorni.
Per esempio, colui che si arrabbia continuamente, reagendo in modo impulsivo può rendersi conto degli effetti prodotti da questo suo comportamento sugli altri.
Allo stesso modo, chi si lamenta in continuazione di fronte a qualsiasi evento, vedendo un altro imitarlo e interpretare il suo ruolo, comprende non soltanto il fastidio provocato a coloro che ha intorno ma anche l’inutilità di questa reiterata lamentela, che non produce alcun cambiamento.
Tutto questo concorre ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé, punto di partenza per riuscire a produrre un cambiamento significativo.
Cambiare il copione e riscrivere la propria storia
Uno degli aspetti più terapeutici dello psicodramma, però, è sicuramente la possibilità di riscrivere la storia e cambiare il copione, dando un finale diverso a quello previsto.
Non è detto, infatti, che la vicenda scelta per essere messa in scena debba seguire per filo e per segno l’andamento del racconto originario.
Non è detto che tutti riescano a mettere in atto qualcosa di simile. Spesso chi partecipa allo psicodramma sperimenta una specie di blocco, una resistenza. Sbloccarsi significa rompere uno schema che è un circolo vizioso, dandosi la possibilità di sperimentare. Significa uscire dalla coazione a ripetere, tipica dell’esperienza traumatica.
L’efficacia dello psicodramma
Una delle caratteristiche peculiari dello psicodramma, che lo rende un efficace strumento di intervento terapeutico, è la possibilità di lavorare nel qui e ora della relazione.
La messa in scena del vissuto, infatti, consente di attualizzare l’esperienza passata e riportarla nel momento presente.
Quando si evoca un ricordo e lo si racconta semplicemente a voce, l’emozione legata a quell’esperienza viene in parte attenuata, filtrata attraverso il tempo.
C’è come un diaframma tra noi e quello che abbiamo provato.
Quando, invece, quello stesso ricordo viene messo in scena, l’emozione si mantiene inalterata, intatta e potente. Il paziente rivive quel momento in modo integrale, teatralizzando contenuti del proprio mondo interiore attraverso il corpo, la voce, il movimento, l’interazione spontanea con gli altri partecipanti al gruppo di terapia.
In questa dimensione in cui il corpo è in primo piano, protagonista della scena, si ha la possibilità di sbloccarsi, di superare resistenze, di entrare in contatto con parti di sé rimosse o scisse, con emozioni negate o soffocate per lungo tempo.
Proprio per questi motivi, i pazienti che non sembrano trarre grandi benefici con le sedute di psicoterapia individuale, possono trovare nella terapia di gruppo e nell’uso dello psicodramma una strada alternativa, un approccio più idoneo per alleviare alcuni sintomi e affrontare il proprio disagio, ritrovando il benessere e l’equilibrio, imparando a prendersi cura di sé stessi.
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