Dove c’è un film di Tim Burton, là possiamo essere certi che troveremo un interessante concentrato di Psicologia.
La serie Tv in onda in questi giorni su Netflix, incentrata su Mercoledì Addams, è un altro dei suoi capolavori.
Chi ha seguito il telefilm in bianco e nero della Famiglia Addams negli anni ’80 ha ben impressa quella bambina “stramba”, un personaggio che pochi avranno dimenticato.
In questa serie Mercoledì, ormai 16enne, diventa protagonista di un intrigo di enigmi da risolvere, in un’ambientazione gotico-noir genialmente accostata ai tempi odierni, in cui di fatto le coordinate spazio-temporali tendono ad annullarsi in favore di uno spaccato squisitamente introspettivo.
Il tema tanto caro a Tim Burton, nella figura di Mercoledì Addams, viene esaltato alla sua massima potenza: il regista ci aiuta ad interrogarci su come la società dei cosiddetti “normali” tratti e consideri i “diversi”, gli strani, i reietti, gli emarginati.
I personaggi “diversi” di Tim Burton: contro ogni omologazione
Tim Burton è un uomo geniale e capace di tratteggiare aspetti tipici di una neurodiversità, definita Asperger, che sembra aver da sempre ispirato i suoi film e molti dei suoi personaggi, che si fanno veicolo di un messaggio ora forte e chiaro: chi è diverso ha un compito, una missione da portare a termine, quella di diventare ai propri occhi e a quelli altrui un essere Speciale, un essere unico, tirando fuori le sue doti e la sua personalità senza rimanere imprigionato fra le sbarre del giudizio e del pregiudizio sociale.
Si tratta di una missione contro ogni forma di omologazione.
In un maestoso frame della serie tv, a tal proposito, c’è chi dice a Mercoledì: “Non perderla mai”, in riferimento alla preziosa capacità dell’adolescente di non lasciarsi definire dagli altri.
Sono tuttavia molteplici le sfumature psicologiche attraverso cui Tim Burton ci conduce, prendendo come per mano lo spettatore ed invitandolo a penetrare nelle profondità della mente umana.
Mercoledì Addams: l’adolescente che rivendica autonomia
Inizialmente, Mercoledì appare come un’adolescente pungente, intelligente e acuta, alle prese con la difficile relazione con le figure genitoriali, in evidente ribellione nei confronti delle pesanti proiezioni materne e delle aspettative familiari, che la vorrebbero vedere ripercorrere i passi della madre, nei suoi stessi ambienti scolastici e relazionali, magari con gli stessi esiti di successo e realizzazione personale.
Lo spettatore abbraccia così inconsciamente la visione di Mercoledì, condividendone l’imperativo a rimanere fedele a se stessa evitando ogni qual forma di condizionamento sociale.
La giovane ragazza, cronicamente votata ad una eterna ed immutabile espressione triste (la tristezza e le atmosfere spettrali sembrano le uniche modalità in cui poter esistere e divertirsi), manifesta in fondo rabbia e ribellione contro tali costrizioni, rivendicando – in piena coerenza con il messaggio di Tim Burton – il suo incrollabile diritto all’unicità ed alla autonomia delle sue scelte.
E fin qui, tutti a fare il tifo per Mercoledì, simbolo di riscatto a favore dei “diversi”, lei che ha sempre la risposta pronta e non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.
Ma il regista si spinge oltre. E noi lo seguiamo, necessariamente.
Il limite di Mercoledì: l’incapacità di sentire le emozioni
Mercoledì pian piano non sembra più sempre così granitica nelle sue certezze; la sua personalità, che lo spettatore fin da subito ammira e tende a guardare compiaciuto – come fosse un Mito – fa intravvedere delle piccole crepe…qualcosa vacilla…. Mercoledì, in effetti, sembra infallibile, superiore ed invincibile solo in una dimensione di assoluta solitudine, in un mondo che le evita il confronto relazionale. Immersa man mano nella necessità umana di tener conto di chi le è accanto, dei bisogni non solo propri ma anche altrui, dei sentimenti feribili di chi inizia a volerle bene, Mercoledì avverte per la prima volta un suo grande limite: l’incapacità di sentire le emozioni e di provare vero interesse per l’altro.
Sembra che qualcosa la tocchi in modo differente, e anche la tanto ricercata solitudine assume un sapore nuovo, più aspro e meno piacevole.
In un dialogo con la sua competitor Bianca, che le confessa di ammirarla perché non le importa nulla di quello che pensa la gente, Mercoledì ammetterà: “Vorrei che mi importasse di più”.
Il mito dell’individuo che basta a se stesso e che, in nome della sua unicità (che pure rimane un grande faro nel messaggio sotteso del regista), inizia a sgretolarsi.
Vediamo così Mercoledì andare a trovare il suo amico in ospedale. Un amico che lei stessa, accecata dai suoi obiettivi e dalle sue priorità, ha rischiato di mettere in pericolo…
Mercoledì inizia così a scoprirsi capace di cooperare, non solo di competere.
Fragilità, paure e senso di inadeguatezza: l’evoluzione di un personaggio
La genialità di Tim Burton si esprime nel saperci mostrare Mercoledì in un processo mutevole di impressioni, da ragazzina stramba e potenzialmente vittima di bullismo nella derisione sociale, a leader carismatico dai tratti narcisisticamente affascinanti ma privi di empatia, a creatura limitata e sola che forse ancora non sa davvero tutto della vita e che progressivamente si attorciglia attorno alla sua stessa arroganza, fino a poter alzare un po’ lo sguardo incontrando quello dell’altro.
È allora che può ammettere anche le proprie paure, il senso di inadeguatezza nei confronti di un modello materno che vede come inarrivabile e con cui sceglie di non confrontarsi a priori, per non dover fallire.
Ci troviamo di fronte, a ben vedere, ad una sublime narrazione della eziopatogenesi della personalità narcisistica, delle sue funzioni reattive e difensive nei confronti di un primordiale vissuto di inadeguatezza e solitudine, e delle sue grandi lacune in termini di empatia, soddisfazione relazionale e capacità di stare nelle emozioni, nonché di contemplare le sfumature intermedie fra il drastico bipolarismo bianco/nero.
Un bipolarismo che spesso mira a semplificare una realtà troppo complessa per chi, in fondo alla sua anima, soffre di un dolore già di per sé capace di rubare troppe energie psichiche. Simbolo di questo grande dispendio energetico sono anche i poteri/visioni di Mercoledì, molto simili a crisi epilettiche che la ragazza deve imparare a gestire.
Accorciare le distanze: distinguersi rimanendo in connessione con l’altro
Nel suo percorso Mercoledì impara in fondo a guardare anche intorno a sé, oltre la incessante e tirannica esigenza di autodefinirsi per non rischiare di perdersi nello sguardo altrui. Nel momento in cui il confronto con l’altro trova spazio nella sua mente, non dovrà più dividere e scindere la “stanza” (metafora della esistenza) con la sua compagna, ma potrà indossare qualcosa di simile (un avvicinamento relazionale che prelude al commovente abbraccio fisico finale).
Saprà accorciare le distanze, creare legami ed uscire dal binomio bianco/nero, dalla clausura di una scelta imposta del tipo “a definirmi sono solo io” oppure “a definirmi sei solo tu”.
La sfida più alta consiste infatti nel distinguersi rimanendo in connessione con gli altri, nel diventare se stessi senza isolarsi, nel sentirsi un essere umano fra gli esseri umani al di là della paura di sparire nel sentimento e nelle emozioni che ci legano all’altro.
Perché, lo sappiamo, la salute mentale sta nell’armonico integrarsi di una salda identità che viene costruita sempre ed inevitabilmente all’interno delle relazioni intersoggettive di cui la vita umana si colora giorno dopo giorno.
A cura della dottoressa Federica Elia
Centro di psicologia e psicoterapia Il Filo di Arianna