Introverso o estroverso?

Introverso o estroverso?

Introverso ed estroverso: due modi diversi di relazionarsi col mondo

 

“Quel ragazzo è davvero estroverso, parla tanto, gli piace stare al centro dell’attenzione”

“Quella ragazza è così introversa, sempre chiusa in sé stessa!”

Spesso, i termini che nascono in seno alla psicologia diventano di uso comune, entrano nel lessico quotidiano e perdono il loro significato originario. È quel che è accaduto con i concetti di estroversione e introversione, elaborati dal grande psicanalista Carl Gustav Jung a partire dalle proprie esperienze cliniche e dagli studi condotti su caratteristiche e modi d’essere degli individui.

È il 1921 quando Jung pubblica il volume “Tipi psicologici” nel quale espone le proprie riflessioni sui diversi tipi di personalità esistenti, classificandole sulla base delle quattro funzioni psichiche fondamentali: il pensiero, il sentimento, l’intuizione e la sensazione.

In questo volume, egli introduce anche i due concetti di Estroversione ed Introversione, due elementi basilari nella definizione del carattere di un individuo, che vengono utilizzati per descrivere il modo in cui esso entra in relazione con l’oggetto, ovvero con il mondo esterno.

Per dirlo con le parole dello stesso Jung:

“Ci sono, anzitutto, due tipi di psicologia umana. La funzione principale dell’uno è il “sentire”, quella dell’altro il “pensare”. L’uno si immedesima nell’oggetto, l’altro vi pensa sopra. L’uno si adatta all’ambiente secondo l’emozione e solo successivamente riflette, l’altro si adatta tramite una preliminare comprensione secondo il pensiero.

Colui che si immedesima, esce in certo qual modo da sé stesso verso l’oggetto, l’altro si ritrae in certo qual modo dall’oggetto o si arresta di fronte a esso e ci pensa su.

Il primo si chiama tipo “estroverso”, perché in un certo senso si volge all’esterno verso l’oggetto;

il secondo si chiama tipo “introverso”, perché in un certo senso si distoglie dall’oggetto, si ritira in sé stesso e riflette sull’oggetto.”

Ma detto in termini semplici, cosa significa essere estroverso oppure introverso?

L’estroverso, tutto rivolto verso l’esterno

L’estroverso è colui che cerca e trova soddisfazione fuori da . Ama stare a contatto con gli altri, parlare e interagire. Ogni volta che può, interviene in pubblico e cerca di intrattenere relazioni con più persone possibili. Tutte le sue energie sono rivolte verso l’esterno: si sente attratto da fatti e persone, dalla realtà concreta che lo circonda.

L’estroverso osserva l’ambiente, studia tutte le circostanze e cerca di adattarsi a esse. Ciò significa che, quando deve fare una scelta, prende in considerazione prima gli effetti che tale decisione potrebbe avere sulla realtà esterna.

Inoltre, ha bisogno dell’approvazione altrui quindi ha la tendenza a uniformarsi, esprimendo giudizi non troppo diversi da quelli del gruppo in cui si inserisce.

Secondo Jung, questo tipo psicologico ha grandi capacità comunicative, riesce cioè ad esprimersi con grande efficacia.

Tuttavia, nel tipo estroverso puro, che rappresenta un estremo, questa capacità comunicativa è del tutto fine a sé stessa poiché il soggetto non ha nulla da comunicare.

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Introverso o estroverso?
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L’introverso, rivolto verso il proprio mondo interiore

Il tipo introverso descritto da Jung è tutto l’opposto dell’estroverso.

In sostanza, si tratta di un soggetto che trova soddisfazione dagli elementi del proprio mondo interiore, nei pensieri e nelle emozioni che gli nascono dentro e non ha bisogno di cercare stimoli provenienti dall’esterno. Per questo, egli manifesta la tendenza a tenersi distante dall’ambiente circostante e appare di solito, schivo e solitario, piuttosto riservato.

Ciò non significa, naturalmente, che l’introverso eviti del tutto il contatto sociale, che si isoli rispetto agli altri e non abbia capacità relazionali. Egli si trova più a suo agio con pensieri ed emozioni che con fatti e persone. Di conseguenza, evita i luoghi affollati, ha un numero ristretto di amici e spesso ha bisogno di ritirarsi in solitudine per ricaricare le proprie energie.

Preferisce ascoltare anziché parlare ed evita i conflitti inutili.

Impiega più tempo a legarsi a qualcuno, ma quando lo fa è in modo profondo, intimo.

In apparenza, l’introversione sembrerebbe rappresentare l’altra faccia della timidezza.

Questi due termini, però, non sono sovrapponibili né intercambiabili poiché descrivono realtà molto diverse tra loro. L’introverso, infatti, tende a stare sulle sue poiché è più riflessivo, calato nei propri pensieri. Il timido, invece, si distacca dai contesti sociali perché teme il giudizio altrui e l’umiliazione e di conseguenza evita quelle situazioni in cui prova disagio e ansia.

Spesso, la personalità introversa si associa all’immagine di grandi figure del passato, uomini e donne che hanno prodotto grandi opere del pensiero umano, artisti, scrittori, filosofi etc.

Perché le grandi capacità dell’introverso fioriscano e diano frutto, però, è sempre necessario che questo elemento si accompagni e si combini con un elemento di estroversione.

L’introverso puro, infatti, pur avendo dentro di sé pensieri profondi e complessi, non riesce a tirarli fuori, a esprimerli compiutamente. Egli rischia di sprofondare in sé stesso.

 

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È meglio essere introversi o estroversi? La risposta è nell’equilibrio

L’estroversione e l’introversione sono tratti di personalità che incidono sulla nostra vita poiché influenzano le nostre scelte di vita e di lavoro, le amicizie, le relazioni affettive in famiglia o nella coppia, la riflessività, la motivazione e molti altri ambiti.

A questo punto, ci si potrebbe domandare se sia meglio essere estroversi o introversi.

Potremmo dire che la moderna società occidentale ha favorito l’emersione e l’affermazione del carattere estroverso, ritenuto preferibile. Le persone che si mostrano loquaci, che sanno prendere l’iniziativa e affermarsi sugli altri, adattandosi al contesto, hanno maggiori opportunità di avere successo nella vita e sul lavoro.

Essere introverso nel mondo odierno è difficile poiché questi individui si trovano a far parte di un gruppo nel quale la loro natura non è pienamente valorizzata.

Inoltre, si trovano sottoposti a un grande sforzo, mentale e sociale.

Tuttavia, possiamo affermare che l’introverso e l’estroverso come tipi puri non esistono.

Come scrive Jung: “L’estroverso e l’introverso allo stato puro non esistono: se esistessero finirebbero chiusi in manicomio!”

Secondo il grande psicanalista, infatti, per vivere una vita sana occorre che vi sia un certo equilibrio tra l’elemento di estroversione e quello di introversione. Ciascuno di noi dovrebbe avere dentro di sé queste due componenti, che si controbilanciano a vicenda, evitando gli estremi.

Un eccesso in un senso o nell’altro può condurre a un enorme carico psicologico e a una profonda sofferenza psichica.

Seguendo il ragionamento di Jung nel libro “Tipi psicologici” possiamo fare anche un’altra osservazione generale legata al flusso dell’esistenza e ai cambiamenti cui andiamo incontro.

Nel corso della nostra vita, infatti, se abbiamo sperimentato una prevalenza dell’introversione o dell’estroversione, probabilmente avremo a che fare con il fenomeno dell’Enantiodromia.

Questo termine oscuro deriva dal greco e significa “corsa verso l’opposto”.

Colui o colei che ha vissuto gran parte della propria vita come introverso o estroverso, a un certo punto, cambia completamente, comportandosi in modo opposto.

 

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