Ansia da vacanza: perché le ferie estive aumentano gli stati ansiosi?

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Accade tutti gli anni, in concomitanza con l’estate. Appena prima di partire per le tanto agognate ferie che dovrebbero rappresentare un momento di relax dopo un anno di fatica, alcuni pazienti sperimentano un riacutizzarsi dei sintomi, soprattutto di quelli ansiosi.

Quella che vediamo manifestarsi è una sorta di ansia da vacanza o ansia da ferie, che si presenta in modi e con forme diverse. C’è chi avverte soltanto un’ansia di grado lieve, che rimane in sottofondo. Ma c’è anche chi si trova a fronteggiare veri e propri attacchi di panico, momenti di totale perdita di controllo. Talvolta, vediamo che quest’ansia sfocia in fobie specifiche, spesso legate al tema del viaggio, per esempio la paura di prendere l’aereo oppure quella di guidare in autostrada.

Perché accade tutto questo?

In questo articolo di approfondimento, ti illustreremo i vari tipi di ansia da ferie, l’origine e le cause principali di questa ansia estiva, spiegando quali sono i fattori scatenanti e in che modo gestire questo disagio, portandolo a valore.

I sintomi che manifestiamo, infatti, sono sempre una chiamata a prenderci cura di noi stessi, a puntare lo sguardo sulla nostra interiorità per curare le ferite che abbiamo dentro.

Perché d’estate cresce l’ansia?

Partiamo da un dato di fatto.

L’aumento delle temperature in estate è uno dei fattori che causano l’incremento degli stati ansiosi. Il caldo e l’afa intensa, infatti, alterano alcuni equilibri e sottopongono il nostro fisico a un forte stress, provocando una serie di reazioni corporee come il respiro più affannoso, la sudorazione profusa, i cali di pressione.

Un soggetto ansioso – che di base sta sempre allerta ed è molto attento alle sensazioni fisiche che avverte – potrebbe interpretare questi cambiamenti naturali dell’organismo come segnali di un attacco di panico in arrivo.

Ma l’ansia da ferie non si lega soltanto a ragioni di natura climatica.

Ansia estiva: i vari tipi di disagio in vacanza

Come abbiamo detto all’inizio, l’ansia estiva si manifesta in modi molto diversi.

Ansia e attacchi di panico legati al cambio di routine

Potrebbe trattarsi, per esempio, di un’ansia legata all’improvviso cambiamento della propria routine. Ogni giorno, infatti, tutti noi compiamo una serie di azioni consuete, come svegliarci a una certa ora, percorrere una determinata strada per andare a lavoro, incontrare alcune persone etc. Si tratta di azioni ripetute che diventano delle abitudini, dei punti fermi della nostra quotidianità.

Quando partiamo per le ferie, è inevitabile perdere il contatto con questi elementi che ciascun individuo riconosce come familiari.

Andare in vacanza, infatti, significa adattarsi a nuovi ritmi – più lenti, magari ma comunque diversi da quelli a cui ci siamo abituati. Vuol dire staccarsi da luoghi, persone e situazioni che caratterizzano le nostre giornate, staccandoci dai nostri rituali rassicuranti.

Paura di viaggiare lontano da casa

Altri, invece, sperimentano un forte disagio quando si parla di ferie e vacanze perché non sopportano l’idea di doversi allontanare da casa, abbandonando il proprio nido, quel luogo sicuro in cui ci si rifugia ogni giorno, per andare verso nuove mete sconosciute.

Paura di prendere l’aereo o di guidare in autostrada

Altri ancora devono fare i conti con la paura di prendere un determinato mezzo di trasporto. Può trattarsi della fobia di salire su un aereo, di prendere il mare in nave o in traghetto, di mettersi al volante della propria automobile lungo strade trafficate o ad alta velocità.

Ansia dovuta all’interruzione della psicoterapia

C’è anche un’altra situazione che può essere all’origine degli stati ansiosi, delle fobie e degli improvvisi attacchi di panico durante l’estate: quella di chi ha intrapreso un percorso di psicoterapia e deve momentaneamente interrompere le sedute perché lo psicologo va in ferie.

Paura dell’intimità

In ultimo, troviamo coloro che entrano in agitazione e vedono salire i livelli di ansia a causa del fatto che, in vacanza, c’è una maggiore possibilità di entrare in intimità con il partner e con la propria famiglia. Durante l’anno, infatti, i tanti impegni lavorativi e sociali spesso ci tengono lontano da casa, dove torniamo soltanto la sera, ormai stanchi, per cenare e andare a letto.

Di conseguenza, passiamo davvero poco tempo con i nostri cari.

Le vacanze annullano la distanza fisica ed emotiva, imponendoci un contatto stretto costante, che può rappresentare una fonte di forte stress.

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“Sono in vacanza ma voglio tornare a casa”. Ecco da dove arriva l’ansia estiva

Le origini del malessere che ci coglie poco prima di partire o durante la vacanza, tanto da farci desiderare di tornare al più presto possibile a casa, vanno ricercate dentro di noi, per l’esattezza nella nostra struttura psichica.

Quelle che abbiamo appena elencato sono forme diverse di ansia, che hanno una radice comune: la paura dell’ignoto.

Cosa intendiamo dire?

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’inizio delle ferie si associa sempre a un cambiamento.

Le vacanze – anche se programmate in anticipo, anche se desiderate e attese per tutto l’anno – rappresentano un piccolo grande sconvolgimento. Esse sono un “evento” che interrompe il normale flusso della nostra quotidianità, che scardina abitudini, riti, consuetudini divenute nel tempo una sorta di schema protettivo.

Partire vuol dire lasciare il vecchio per andare verso il nuovo, l’inesplorato, quello che ancora non conosciamo. Di fronte a noi c’è un orizzonte sconfinato, ricco di promesse e di pericoli.

È questo che fa paura, che innesca gli stati ansiosi, che fa emergere fobie e scatena attacchi di panico improvvisi.

Per spiegare cosa accade nella nostra psiche, dobbiamo far riferimento per un momento alla teoria dell’attaccamento elaborata da John Bowlby e ai suoi sviluppi successivi.

Detto in sintesi: quando siamo piccoli e indifesi, avvertiamo un estremo bisogno di vicinanza, di protezione e affetto, che ci viene dispensato dai nostri genitori o da chi ne fa le veci prendendosi cura di noi (caregiver).

Queste figure di attaccamento, con le quali instauriamo un legame indispensabile alla nostra sopravvivenza, rappresentano anche la nostra base sicura, ovvero il “luogo” da cui partiamo e a cui ritorniamo durante le esplorazioni del mondo circostante.

Se i nostri genitori si dimostrati ricettivi, dispensando cure e affetto e rispondendo ai nostri bisogni in modo adeguato, riusciremo a instaurare con loro un legame di attaccamento sicuro.

Ci sentiremo amati e desiderati, riusciremo a sviluppare un’immagine positiva di noi stessi, degli altri e del mondo circostante, nutriremo fiducia nelle nostre capacità. Di conseguenza, saremo anche in grado di allontanarci per andare incontro al mondo, consci del fatto che, se avremo paura, potremo tornare alla nostra base sicura in cerca di conforto e sostegno.

Al contrario, se per i più vari motivi i nostri caregiver non sono all’altezza del compito di accudirci, ci verranno a mancare le fondamenta sulle quali costruire la nostra stabilità emotiva.

Saremo molto meno sicuri di noi, privi della possibilità di trovare un centro in noi stessi.

Senza una base sicura a cui aggrapparci, da bambini e poi da adulti avremo maggiori difficoltà a esplorare l’ambiente, a entrare in relazione con gli altri, a fidarci. Cercheremo di difenderci in qualche modo, costruendoci intorno un mondo stabile e definito.

È questo ciò che facciamo dando forma ad abitudini che diventano una routine rigida.

Questa routine ripetitiva e cadenzata non è altro che un assetto difensivo: una protezione contro l’imprevisto.

Il lavoro vissuto come maschera

In alcuni casi, è il nostro lavoro a essere investito di questo ruolo di difesa contro l’incertezza.

Potremmo dire che, in queste situazioni, il lavoro che svolgiamo viene vissuto come una maschera, intesa nel senso junghiano del termine. Il grande psicoanalista Jung, infatti, definiva “maschera” quell’elemento della personalità dell’individuo che prende il sopravvento, nascondendo altre componenti, mettendo in ombra altre sfere della vita, altrettanto importanti.

In questo senso, il lavoro – un’attività di grande importanza per l’individuo, che gli consente di ottenere grandi soddisfazioni e di sviluppare le proprie capacità – diventa un alibi, si trasforma in qualcosa che blocca e congela tutto il resto, in particolare gli aspetti relazionali ed emotivi della persona.

“Non posso, domani devo lavorare” rispondi spesso quando non puoi (o non vuoi) uscire con gli amici.

“Sono troppo stanco, ho lavorato tutto il giorno” dici a tuo figlio o alla tua compagna la sera, rincasando, prima di addormentarti sul divano davanti alla tv.

Il lavoro vissuto come maschera è una barriera frapposta tra te e il mondo circostante, il tuo partner, i tuoi genitori, i tuoi figli, gli amici, le nuove esperienze.

Ma d’estate il lavoro si interrompe e la routine rassicurante viene meno.

Ecco che si scatena l’ansia, un meccanismo che scatta proprio per boicottare le ferie, impedirti di partire e andare incontro a quell’universo inesplorato pieno di possibili imprevisti, abbandonando il tuo rifugio sicuro fatto di certezze e ripetizioni.

Come superare l’ansia estiva: l’angoscia portata nella stanza di terapia

Vivere una forte ansia non è affatto piacevole. Soprattutto in un periodo come quello estivo, che dovrebbe essere dedicato al relax e al recupero delle energie.

Tuttavia, vogliamo sottolineare ancora una volta come i sintomi che sperimentiamo possano essere visti da un altro punto di vista come un’opportunità per iniziare a lavorare su noi stessi, imparando a prenderci cura delle nostre ferite interiori e a guarirle.

È questo il senso della psicoterapia: un percorso di riscoperta di sé, attraverso il quale liberarci dalle zavorre del nostro passato, affrancarci da sistemi di difesa arcaici che ci impediscono di vivere in modo autentico e di esprimere appieno il nostro potenziale.

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