Adolescenti “ribelli”: quando preoccuparsi?

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L’adolescenza, un’epoca di forti cambiamenti

“Non riconosco più mio figlio”.

Questa è una frase che sentiamo spesso pronunciare ai genitori di ragazzi adolescenti. All’improvviso, quel bambino che abbiamo cresciuto ed educato con tanto amore e sollecitudine ci sembra un estraneo.

Smette di raccontarci quel che gli succede a scuola. Si chiude in camera da solo. E non sembra più voler sottostare alle regole che ha sempre seguito. Cosa sta succedendo? Semplicemente, sta crescendo ed è entrato in un periodo critico. L’adolescenza, infatti, è una fase piuttosto delicata della vita.

È un periodo in cui avvengono profondi cambiamenti.

Alcuni di essi possiamo constatarli con i nostri stessi occhi. Sono le modificazioni fisiche e anatomiche, quelle più evidenti. Nelle femmine comincia a crescere il seno, il corpo assume una forma più arrotondata. Gli ormoni in circolo determinano una maggiore peluria e la comparsa dell’acne. Arrivano le prime mestruazioni, che segnalano l’inizio dell’età fertile. Ai maschi comincia a spuntare la prima barba, la voce si abbassa e diventa più grave, la muscolatura si sviluppa etc.

Questi cambiamenti spesso possono essere fonte di disagio per la ragazza o il ragazzo che li deve affrontare.

Non sempre è semplice accettarli e accoglierli con serenità, soprattutto quando ci si confronta con i propri compagni e si finisce vittima di prese in giro e nomignoli di varia natura, legati magari a caratteristiche corporee. Anche la psiche è investita da modificazioni importanti.

Il ragazzo adolescente vive una vera e propria crisi d’identità.

Sente di non essere più un bambino, ma allo stesso tempo non è nemmeno un adulto. Si avvia faticosamente ad abbandonare degli schemi di comportamento di tipo infantile per strutturare la propria identità.

Alla ricerca dell’autonomia, tra infanzia e vita adulta

Per poter crescere e maturare, il ragazzo deve necessariamente mettere in discussione la propria identità. Ci troviamo di fronte a un processo che non ha un andamento lineare.

Potrebbero verificarsi degli improvvisi balzi in avanti.

Ma è possibile anche che si facciano dei passi indietro e si assista a delle fasi regressive, in cui il ragazzo sembra tornare bambino, riproponendo comportamenti di tipo infantile.

Una simile altalena potrebbe indurre i genitori a preoccuparsi.

Ma non c’è nulla di strano o di patologico.

Si tratta di un processo naturale e necessario, che passa anche attraverso quella fase turbolenta che tutti temiamo: la ribellione adolescenziale.

Nostro figlio sta cercando di definire sé stesso. Per farlo, deve per forza allontanarsi da mamma e papà, prendere le distanze e, soprattutto, mettere in discussione queste figure che rappresentano l’autorità.

I genitori perdono l’aura sacrale che hanno sempre avuto.

Se prima erano quasi dei supereroi, adesso diventano uomini e donne, fragili, fallibili, pieni di difetti. Cominciano gli scontri, si arriva a una vera e propria contestazione di regole e confini che prima si davano per scontati.

L’adolescente cerca di ritagliarsi il proprio spazio di autonomia, rivendica i propri spazi, la propria privacy.

È tutto parte di quel naturale sviluppo che lo porterà a essere un individuo indipendente, con un suo percorso personale.

Consigli per genitori di ragazzi adolescenti

Quando si trova di fronte un adolescente ribelle, un genitore si sente preoccupato o spaventato. Ha l’impressione di avere in casa un soggetto ostile. Qualcuno che non lo ascolta, lo sfida continuamente e, quando può, salta le lezioni e va in giro a divertirsi con gli amici. Dove è finito il bravo bambino che ubbidiva, andava bene a scuola e la sera aspettava soltanto la favola della buona notte? Sta crescendo. Forse un po’ più in fretta di quel che vorresti. Ma è sempre lui e ha bisogno che tu sia lì per supportarlo in questo momento delicato della sua vita.

Come?

Innanzitutto, restando genitore. In questa fase, infatti, alcune madri e alcuni padri potrebbero avere la tentazione di mettersi allo stesso livello dei figli, pur di mantenere un rapporto. In poche parole, si cerca di essere loro amici, quasi dei compagni, dei confidenti e dei complici dei propri ragazzi. Promuovere la condivisione e il dialogo con loro va bene. Ma è necessario farlo rispettando i ruoli.

Bisogna trovare un equilibrio tra la vecchia figura dei genitore normativo, che impone le regole e punisce e questa nuova modalità di relazione, così confidenziale e amicale, che è altrettanto deleteria. Il genitore deve restare una guida, qualcuno in grado di dettare delle norme di comportamento, di fissare dei limiti. E allo stesso tempo, deve essere in grado di comprendere e ascoltare.

Né troppo tollerante né troppo rigido.

La giusta strada, come sempre, sta nel mezzo.

I problemi adolescenziali: quando diventare grandi diventa un problema

Molti definiscono l’adolescenza come l’età ingrata o l’età difficile.

Come abbiamo detto, non sempre è facile affrontare i forti cambiamenti in atto durante questa “epoca di mezzo” tra l’infanzia e la vita adulta.

Tanti adolescenti vivono un disagio profondo, che può manifestarsi in vario modo:

  • autolesionismo
  • depressione
  • disturbi alimentari
  • abusi di droga o alcol
  • disturbi d’ansia

In particolare, l’ansia è uno dei disturbi più diffusi tra i giovani che si avviano all’età adulta. In questa fase, infatti, i ragazzi faticano a capire e gestire le proprie emozioni. L’ansia spesso si associa a dubbi e paure rispetto al futuro e alle possibilità che si aprono loro davanti. È in quest’epoca della vita, in effetti, che occorre fare scelte molto importanti, come gli studi da intraprendere. Un’altra forma di ansia largamente presente tra gli adolescenti è l’ansia sociale, che si manifesta nel rapporto con gli altri, soprattutto con i propri compagni.

Alla base c’è il timore del rifiuto, un profondo senso di inadeguatezza, bassa autostima e la paura di dare un’immagine negativa di sé.

I ragazzi che ne soffrono manifestano forti difficoltà nel relazionarsi e tendono al ritiro sociale e all’isolamento. Il largo utilizzo dei social network, nuovo strumento di interazione e rapporto, non ha fatto che accentuare il fenomeno.

Una vera e propria esplosione dei disturbi d’ansia tra gli adolescenti si lega anche alla situazione sanitaria degli ultimi anni. L’emergenza determinata dalla pandemia di Coronavirus e le restrizioni conseguenti, con i ripetuti lockdown, hanno sconvolto la vita di tutti.

Autolesionismo negli adolescenti

Quando si parla di autolesionismo, si fa riferimento a tutti quei comportamenti che hanno lo scopo deliberato di provocarsi dolore fisico.

Una delle forme più note è il cutting, termine inglese che indica l’azione di tagliarsi ripetutamente. Chi lo pratica, utilizza strumenti affilati come lamette, forbici o anche pezzi di vetro per incidere la pelle e aprire delle ferite nel proprio corpo. Di solito, i tagli vengono fatti in punti che possono essere nascosti dagli indumenti. Spesso, sui polsi, sulle braccia o sulle gambe.

Ma l’autolesionismo può prendere anche altre forme. Alcuni ragazzi si infliggono dolore bruciandosi con la sigaretta. È il cosiddetto burning. Altri ancora arrivano a marchiarsi a fuoco con un ferro rovente, mettendo in atto il branding.

Qualunque sia la pratica messa in atto, l’autolesionismo è sintomo di un disagio profondo, che non si riesce a esprimere ad alta voce. A prima vista, una pratica del genere potrebbe far pensare a degli impulsi suicidi, a un desiderio di morte. In realtà, l’autolesionista non ha alcuna intenzione di togliersi la vita. Per loro, provare dolore nel corpo è l’unica scappatoia dal male che sentono dentro di sé. Infliggersi delle ferite permette loro di trovare un sollievo momentaneo rispetto alla sofferenza emotiva.

Cercano soltanto un modo per liberarsi.

Spesso, le condotte autolesive si legano a situazioni traumatiche oppure ad abusi. In casi come questi, il gesto di tagliarsi, ferirsi o di bruciare la propria pelle ha lo scopo di riconnettersi con la vita.

Sentire il sangue che scorre oppure la pelle che brucia consente di riportare l’attenzione sulla realtà, quando la mente cerca di scollarsi e distaccarsene per difendersi da un’esperienza traumatica. Anche un profondo vuoto interiore e la solitudine possono innescare fenomeni di autolesionismo. L’adolescente che non ha un luogo sicuro in cui trovare rifugio, qualcuno con cui confidarsi che gli dia supporto e conforto, sfoga su sé stesso le proprie emozioni negative come la rabbia e la tristezza.

La sofferenza è talmente forte che l’unico modo per esprimerla è scrivendosela sul corpo.

Purtroppo, il fenomeno dell’autolesionismo è in crescita costante tra giovani e adolescenti. A favorirne la diffusione, anche l’emulazione e la presenza online di siti e forum in cui i ragazzi raccontano la propria esperienza, arrivando a incitare gli altri.

Da ultimo, sui social e nel web sono sbarcate delle challenge, vere e proprie sfide tra ragazzi che spingono i propri coetanei a farsi del male da soli.

Adolescenza problematica: i segnali d’allarme per i genitori

La transizione verso l’età adulta è un processo lungo e talvolta accidentato. Sono tante le problematiche che possono innescarsi in questa fase così delicata.

Un genitore potrebbe domandarsi:

  • quali sono i campanelli d’allarme del disagio adolescenziale?
  • Come posso accorgermi che mio figlio adolescente sta attraversando un momento di difficoltà?
  • A cosa devo prestare attenzione?

Secondo la nostra esperienza di terapeuti, occorre innanzitutto prendere in considerazione il rendimento scolastico del ragazzo. La scuola, infatti, è l’ambiente in cui l’adolescente trascorre la maggior parte del suo tempo. Se tuo figlio comincia a prendere brutti voti, ad andare male alle interrogazioni e nei compiti in classe, questo improvviso abbassamento della media potrebbe essere spia di un disagio che incide sulle sue capacità, sull’attenzione e sulla motivazione allo studio.

Un altro segnale preoccupante è l’apatia.

Talvolta, si tratta soltanto di un periodo passeggero, di semplice svogliatezza. Capita anche agli adulti di non aver alcuna voglia di fare, di non riuscire a intraprendere alcun progetto. In altri casi, però, quando l’indolenza si protrae e il ragazzo non sembra avere alcuno stimolo, è davvero il caso di preoccuparsi. Soprattutto quando si vede il proprio figlio nel più totale immobilismo, preda di una condizione che non sembra avere sbocchi o sviluppi. C’è il forte rischio, infatti, che la noia e il disinteresse si trasformino in apatia giovanile, che è l’anticamera della depressione.

Arrabbiarsi con loro o cercare di smuoverli non serve a molto.  Occorre mettersi in ascolto, comprendere il disagio sotteso a questo stato e rivolgersi a un professionista che possa dare il giusto supporto al ragazzo.

Altro possibile segnale di un problema adolescenziale?

La difficoltà ad emanciparsi dai genitori. A differenza di quel che si crede comunemente, dovrebbe preoccuparci un ragazzo che non riesce a prendere decisioni autonome piuttosto che uno che si ribella, alza la voce ed entra in contrasto con l’autorità di mamma e papà. Prestiamo attenzione anche alla rete di relazioni di nostro figlio. A quest’età, il rapporto con i coetanei è fondamentale. Se l’adolescente tende a isolarsi, esce poco, si chiude nella propria camera da solo, non ha amici, è probabile che stia vivendo un disagio molto forte.

In ultimo, anche l’aspetto fisico del ragazzo può essere un indice della sua salute emotiva. Se si trascura, è possibile che soffra di scarsa autostima.

Prevenzione del disagio adolescenziale. Cominciamo dalla scuola

Il disagio giovanile e le problematiche legate all’adolescenza possono essere arginati. Come psicoterapeuti, riteniamo che il primo luogo in cui effettuare degli interventi mirati alla prevenzione sia la scuola. È questo l’ambiente in cui i ragazzi vivono gran parte della propria giornata, a contatto con i propri coetanei. Sarebbe opportuno prevedere degli incontri preparatori con psicologi esperti e terapeuti, che parlino direttamente con i ragazzi delle situazioni che si trovano a vivere.

Questi momenti servono a dare agli adolescenti la possibilità di esprimere quello che provano all’interno di un ambiente sicuro, accogliente. Spesso, i giovani vivono nell’illusione di vivere un dolore del tutto unico e particolare. Credono che nessun altro stia attraversando quello stesso momento di difficoltà. Si convincono che nessuno possa capirli davvero.

Si sentono profondamente soli e incompresi.

Poterne parlare con qualcuno che li ascolta, rompe questo “cerchio magico”. Li aiuta a ritrovare un contatto con la realtà, un maggiore equilibrio. Naturalmente, la prevenzione si può fare anche all’interno delle famiglie. I genitori che vogliano affrontare l’adolescenza dei propri figli con strumenti e conoscenze adeguate, possono aderire a un programma di parent training e sostegno alla genitorialità.

Nel corso dei colloqui, i genitori hanno la possibilità di avanzare dubbi e perplessità, fare domande, esprimere le proprie preoccupazioni. Allo stesso tempo, imparano tecniche e strategie adeguate per dare sostegno al proprio figlio. Lavorano su sé stessi per comprendere quale sia la via migliore per aiutarlo in questa delicata fase di passaggio, trovando il giusto equilibrio.

Psicoterapia in età adolescenziale

Nel caso in cui un ragazzo adolescenti manifesti preoccupanti segni di disagio e vada incontro a veri e propri disturbi (ansia, depressione, disturbi alimentari etc.) è sempre possibile attivare un percorso di psicoterapia. La psicoterapia per gli adolescenti si svolge in modo diverso rispetto a quella rivolta alle persone adulte.

Solitamente, il percorso prevede un primo incontro conoscitivo in cui vengono coinvolti esclusivamente i genitori. Questo colloquio risulta fondamentale per inquadrare il caso, capire lo schema familiare e le dinamiche relazionali tra i vari membri del nucleo familiare. Dopo aver raccolto tutti gli elementi necessari, cominciano le sedute con il ragazzo che incontra individualmente il terapeuta. In parallelo, proseguono anche i colloqui con i genitori, che vengono aggiornati e supportati dal professionista. Un buon percorso, infatti, prevede il coinvolgimento dei genitori dell’adolescente, che devono essere seguiti e aiutati. La loro collaborazione è fondamentale.

Altro elemento imprescindibile è l’adesione del ragazzo adolescente alla psicoterapia. Il giovane deve essere favorevole all’idea di intraprendere un percorso e non può essere in alcun modo costretto o forzato. Se non ha intenzione di incontrare un professionista, occorre rispettare la sua volontà. In casi simili, si può continuare a lavorare con la madre e il padre per aiutarli a seguire nel miglior modo possibile. Il consenso dell’adolescente è assolutamente fondamentale sia per una forma di rispetto nei confronti dell’individuo dotato di una sua personalità sia perché la psicoterapia stessa si fonda sulla collaborazione tra paziente e terapeuta.

Il mancato consenso è esso stesso un fallimento del lavoro terapeutico.